capitolo secondoarrivo a Wildau

La scorsa estate e nei primi giorni di autunno avevamo fatto perlustrazioni in vari quartieri di Berlino senza spingerci fuori dai confini del Land, non lo pensavamo possibile, ed invece mesi dopo ci siamo trovati catapultati in un piccolo comune della ex Germania dell’est, per noi del tutto nuovo e inesplorato.

Abbiamo trovato rifugio in quella che ora chiamiamo affettuosamente la “colonia penale” di Wildau.

Un nuovo quartiere, Rosenanger, costruito in tre fasi su progetto di uno studio berlinese che ha voluto riproporre in modo abbastanza ossessivo gli stilemi che a fine Ottocento erano stati usati per l’insediamento operaio nato accanto alla fabbrica di locomotive B.M.A.G. intorno al quale si è poi sviluppata Wildau stessa.

All’iniziale ferro di cavallo, denominato blocco A, è stato aggiunto nel 2020, a mo' di chiusura, la stecca del blocco B, dove siamo noi, e in questi giorni di inizio estate 2021, si stanno concludendo i lavori delle “ville di città” -quale nome fu più ridicolo - ovvero due unità di case a schiera a tre piani che costituiscono il blocco C.

Da pochi mesi abbiamo quindi la nostra nuova base tedesca in questo piccolissimo centro a ridosso della Dahme, un bel fiume di portata ben maggiore della Sprea ma non altrettanto lungo e che, per questa manchevolezza, a nord ovest di Köpenick perde il suo nome gettandosi nelle acque di quello che diventa il noto fiume di Berlino.

Siamo arrivati a Wildau il 10 marzo 2021 traslocando da Bad Mergentheim pacchi e pacchi di ricordi dei nostri sette anni di “anda e rianda” tra Italia e Germania.

È stato chiaro sin dall’inizio che priorità assoluta sarebbe stato camminare per strade, sentieri e boschi per cercare di capire se ci fosse qualcosa per cui valesse la pena rimanere.

Abbiamo passeggiato lungo la Dahme, vasta, ricca di potenzialità, ma con impressa la desolazione dell’inattività imposta dalla pandemia: rimasta per secoli appannaggio esclusivo dei pescatori, solo in tempi più recenti ha cominciato ad essere usata come via di trasporto di sabbia, ghiaia e mattoni dal Brandeburgo a Berlino.

mappa di Wildau

trompe-l'oeil di benvenuto a Wildau

"colonia penale"di Wildau

Dahme nel Comune di Wildau

E alla fine dell’Ottocento la fabbrica di locomotive L. Schwartzkopff, cercando un sito dove espandere la propria attività dal centro di Berlino, trovò il posto perfetto nell’area di 600.000 mq, lungo il tracciato della preesistente ferrovia Berlin-Görlitzer, che collegava Königs Wusterhausen a Görlitzer Banhof, vicina al villaggio di Hoherlehme, attualmente ridotto ad un isolato a sud est dell‘attuale cimitero di Wildau.

Questa operazione vede nel già menzionato insediamento operaio la soluzione dell‘equazione in cui un polo industriale, sviluppato accanto ad un florido corso d’acqua, si somma al pensiero di un uomo illuminato del XIX secolo. La storia è ricca di esempi.

Ludwig Witthöft, l’architetto, nonché direttore dei lavori edilizi del Governo, che dal 1897 guidò la costruzione della nuova fabbrica di locomotive, da allora chiamata Berliner Maschinenbau AG (B.M.A.G.), si occupò infatti anche della sfera sociale gravitante intorno alla produzione, ovvero della progettazione della colonia abitativa, della scuola, della stazione (aperta nel 1900) e della chiesa, entità attualmente funzionanti. In qualità di primo amministratore delegato della società B.M.A.G., in accordo con il direttore della stessa, si occupò anche della creazione di un fondo di mutuo soccorso per i dipendenti della fabbrica per elargire prestiti ma anche crediti a fondo perduto.

Le sue idee sociali non riflettevano a pieno le finalità della proprietà e, a seguito di forti divergenze con il consiglio di amministrazione della B.M.A.G., nel 1907 venne licenziato e ogni suo merito spazzato via dalla memoria collettiva.

La sua figura è stata riabilitata solo all’indomani del recupero e riconversione dell’area industriale in polo universitario, ovvero con l’istituzione dell’Università Tecnica di Scienze Applicate di Wildau.

Ci siamo inoltrati all’interno dell’attuale campus per poi arrivare alla Karl-Marx-Strasse - e come altro chiamarla- dove si susseguono monotonamente le case operaie bicrome, in mattoni rossi e intonaco chiaro, con caratteristici balconi lignei. I portoni piccoli verdi lasciano intravedere attraverso due piccoli inserti in vetro la rampa di scale strettissima e ripida che conduce al primo piano. Reduce da un faticosissimo trasloco, dopo aver visto per ore i nostri "angeli" caricarsi scatoloni e mobili per tre piani con un ascensore nuovo di pacca stranamente fuori uso, l'immagine di cucine di fine ottocento prive di frigoriferi e lavatrici mi ha rassicurata, come il pensiero di un probabile uso di carrelli elevatori e montacarichi esterni.

Ma non ho pensato neanche per un secondo che trasferirmi in una casa, seppur con importanti connotazioni storiche, ma con simili minimi funzionali, studiati per specifiche esigenze abitative, potesse essere una idea felice.

area della ex fabbrica B.M.A.G. e Università Tecnica di Scienze Applicate

Karl-Marx-Strasse

Ci siamo successivamente spinti nei nuovi quartieri di edilizia popolare e poi tra le piccole strade in cui piccole casette unifamiliari sembrano spuntate come funghi; caratterizzate da grandi finestre affollate da coloratissime orchidee, da giardinetti pieni di elfi, animaletti dalle fogge più strane, che spuntano dai cespugli fioriti. Un tripudio di cose inutili che fanno roteare la testa, qui come in analoghi posti in Germania, Bad Mergentheim non esclusa!

Nel mio solito modo politicamente scorretto già anni fa le avevo ribattezzate "le casette degli psicopatici", bellezza degli altri che non sono mai riuscita a fare mia.

Lo so, me ne dolgo, ma non ho mai trattenuto lo sconcerto quando mi sono trovata a camminare in mezzo a tanta ripetitività, quasi compulsiva, propria sia di epoche passate che dell'epoca attuale.

A Bad Mergentheim ho visto nascere nel giro di pochi mesi interi quartieri, in cui lo stesso Comune, autorizzando le nuove lottizzazioni, ha dato il via alla diffusione di progetti standard offerti dalle stesse ditte appaltatrici, due o tre tipologie ripetute come con un timbro clone.

Camminando a ritroso attraverso la stratigrafia edilizia privata si può capire come nel dopoguerra in Germania abbiano proliferato, a ridosso dei centri cittadini e intorno alle case contadine, che erano veri e propri sistemi autosufficienti, con fienile e "hof" (cortile dell'unità abitativa), insediamenti di modeste casette con tetti a due falde, tutte uguali, come quelle del Monopoli, senza recinzione o, moda diffusissima degli ultimi anni, protette da griglie di acciaio riempite di pietre locali che possono anche superare il metro e mezzo di altezza.

Uno spettacolo, quasi fiabesco, che si può ammirare durante un volo aereo: agglomerati urbani, siano essi villaggi, o quartieri residenziali di grandi città, si stendono per centinaia di metri o chilometri, apparentemente tutti uguali.

vista aerea del paesaggio tedesco

tipologia di casa unifamiliare tedesca con tetto a due falde

quartieri di edilizia popolare: pura Germania dell'Est