Stella nell'universo di Gaudì
(maggio 2025)
Stella nell'universo di Gaudì
(maggio 2025)
Stella riprende la via tra le maglie dell'Eixample per approdare di nuovo nel Passeig de Gràcia.
Ad un tratto si trova letteralmente avvolta da una assordante nuvola umana. Piccola com’è non riesce subito a capire che, dietro tanta folla in preda a selfie compulsivi, si staglia un bellissimo e maestoso edificio d'angolo, reso sinuoso da eleganti onde in pietra chiara lavorata come una scultura. E’ di fronte a Casa Milà, conosciuta anche come La Pedrera proprio per il richiamo ad una cava di pietra.
Deve spostarsi quasi sulla carreggiata del Passeig per riuscire ad ammirare l'ultima opera di edilizia residenziale di Gaudì, in cui converge la sua maturità progettuale. Stella, talmente spazientita dal caos, soprattutto addolorata d'essere parte di un simile gregge, per un attimo vede quasi venir meno la sua passione architettonica tanto da pensare di passare oltre e non entrare.
Ma l'incoscienza di un istante non le fa sprecare un biglietto prenotato con tanta fatica settimane prima; così si lascia trasportare dal fiume in piena all'interno dell'edificio.
Al momento dell'acquisto avrebbe dovuto capire quale sarebbe stato il suo destino, ovvero l'esatto opposto di quanto aveva vissuto 25 anni prima quando aveva potuto visitare in tutta tranquillità ogni opera di Gaudì, casa, palazzo o chiesa che fosse.
Stella ha trovato un'altra Barcellona, interventi urbanistici nuovi, decadenza di alcuni realizzati in occasione delle Olimpiadi del 1992, ma soprattutto tanto interesse intorno a questa città, da parte di turisti ma anche giovani in cerca di lavoro. Un vero e proprio catalizzatore per persone di ogni età con i più disparati interessi.
Infatti dentro la Pedrera ha incontrato chiunque: appassionati di ogni forma d'arte, plotoni di turisti distratti, ragazzi in preda a pose instagrammabili, bambini stanchi e spazientiti per essere trascinati di qua e di là.
Ma come Stella ha avuto il suo momento di rapimento misto all'estasi quando, al culmine della visita, è entrata nella mansarda di casa Milà, probabilmente tanta bellezza avrà lasciato il segno in chissà quante altre persone.
La bellezza è un vero toccasana e Stella, sgomitando nel fuoco incrociato dei selfie, in fin dei conti spera che potrebbe sbocciare anche qualche sprazzo di miracolo da quello sciame di scatti egoriferiti: magari uno sguardo in più per quei comignoli-guerrieri, che fanno da sfondo alle loro pose, a cui Gaudì aveva dato tanta enfasi, da essere rapiti la loro linea tortile più degli occhiali da sole di ultimo grido avvistati una mezz’ora prima in una vetrina del Passeig.
La vista dal terrazzo fa roboare talmente tanto la testa che non si può non pensare a quanta accortezza sia stata usata per far entrare nuova materia architettonica nella città e quanta fusione sia scaturita tra lo spazio della casa e Barcellona stessa.
A pochissime persone saranno invece rimasti in testa i particolari del mobilio dell'appartamento dei signori Milà, coloro che avevano commissionato l’opera, ricchi rappresentanti della nuova borghesia manifatturiera. I dettagli in ferro dei balconi o dei cancelli, dei pomelli delle porte e delle finestre, la policromia dei dipinti nel cortile dell’entrata principale di Passeig de Gràcia sono invece balsamo per appassionati come Stella che, approfittando dei momenti in cui la folla si dirada, fluendo velocemente disattenta, è lì che osserva, gira e rigira attenta a cogliere i più piccoli accorgimenti plastico tecnici.
Riesce anche a trovare il giusto tempo per ammirare l’altro vuoto all'interno del palazzo, quel cortile talmente organico che, sia la pianta che la copertura della scala, sono leggere e vibranti come le ali di una farfalla.
Ma, come già è stato svelato, il sussulto maggiore lo ha avuto quando ha varcato la soglia della mansarda e la testa ha cominciato a girare come una trottola per ammirare la meravigliosa costolatura delle volte in laterizio.
E attraverso i plastici esposti nel percorso espositivo ha ricordato come Gaudì avesse creato le sue strutture. Cosa poi splendidamente spiegata in un’altra mostra alla Colonia Güell.
Era infatti partito da rappresentazioni specchiate, nate dalla realizzazione di catenarie con pesi sospesi. Per la Pedrera, come per casa Battlò e poi per la Sagrada Familia realizza quindi archi parabolici che costruisce con centine lignee e mattoni per poi apparire, nella loro complessità, come scheletri di scafi di navi.
In casa Battlò, dove Stella si reca nel pomeriggio, gli archi dell'ultimo piano sono invece intonacati e, rispetto a La Pedrera, la magia dell'illuminazione, veicolata dalla copertura, crea dei veri e propri tunnel in cui ci si lascia trasportare come in un tapis roulant.
E proprio Casa Battlò affascinò a tal punto l'imprenditore Pere Milà da proporre a Gaudì la costruzione di un lussuoso edificio residenziale anch'esso lungo il Passeig de Gràcia, per occuparne il piano nobile e destinare gli altri ad alloggi da affittare, soluzione molto in voga tra la borghesia catalana dell'epoca. Accettato l'incarico i lavori erano iniziati nel 1906 e con essi un fiume di polemiche e critiche sia da parte del Comune di Barcellona, per sforamento della cubatura concessa, che dal committente stesso, per una questione di onorari, vicenda che portò le parti in tribunale che alla fine, nel 1915, riconobbe le ragioni dell’architetto.
Come molto spesso accade, una personalità complessa come era quella di Gaudì, che non si uniforma al pensiero ed alla moda dominante, non viene subito compresa e accettata dalla società in cui vive, ma respinta prima di essere capita.
Stella, nel corso dei suoi studi, ne aveva incontrate di figure di tal fatta! Persone le cui idee innovative, al momento avversate, erano state sdoganate solo anni dopo da professionisti e artisti pur sempre di alto livello.
Una di queste è il concetto di pianta libera. Gaudì, prima di altri, aveva optato per una simile soluzione proprio nel suo ultimo capolavoro residenziale. E’ infatti a Casa Milà che riesce a realizzare un edificio in cui la struttura, mix di solidissimi pilastri in pietra, travi acciaio, archi e volte in laterizio, lascia la possibilità di reimpostare la distribuzione degli ambienti nel corso della vita dell’edificio secondo le esigenze di chi lo occupa.
E anche per i materiali Gaudì si dimostrò avanti, perché l’acciaio trova spazio strutturale in una casa d’abitazione quando, fino a poco prima, era stato usato soprattutto nelle serre inglesi e negli edifici industriali.
Quindi, entrando a La Pedrera, Stella si trova di fronte ad un'opera fortemente innovativa ma anche manifesto del suo tempo: Gaudì infatti, come altri architetti attivi nello stesso periodo in molti altri Paesi europei, concepisce l’architettura come opera d’arte totale, occupandosi di struttura, impianti, distribuzione dei vani, così come di ogni particolare artigianale.
Ma Stella ha ben chiaro quale fosse il costo del lavoro ai primi del Novecento e quanto la perizia artigianale fosse inversamente proporzionale a retribuzioni tanto esigue. Una situazione ribaltata dal welfare che va a braccetto con industrializzazione e produzione seriale.
STELLA NELL'UNIVERSO DI GAUDI’
Stella aveva avuto un'esperienza simile a sei anni, quando aveva attraversato per la prima volta lo stretto di Messina in traghetto e aveva visto avvicinarsi la costa siciliana. Stupore mista a inspiegabile commozione, che fece così ridere suo fratello tanto da sfotterla per anni ed anni. Inspiegabile fino ad un certo punto, visto il panorama che le si era stagliato innanzi.
Un ricordo così vivido anche per la coincidenza con il battesimo dell’arancino al ragù ( nella sua famiglia era sempre stato declinato al maschile): quale altra meraviglia!
Altra esperienza, che più si avvicina a questa vissuta a Barcellona, di molti anni dopo, ovvero pochi anni fa, fu davanti alle opere di Dalì esposte nel complesso rupestre di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci. Quadri, schizzi, sculture, una sequenza impressionante e soprattutto una tale varietà di temi e ispirazioni che avevano fatto girare a tal punto la testa a Stella che si era sentita completamente rapita, immersa e avvolta da quel tripudio di materiali, forme e colori. Non riusciva a uscire da questa sensazione di risucchio.
Il culmine fu quando, uscendo dalle sale scavate nel sasso baresano, si trovò di colpo davanti alla gravina: tra lei e questa impressionante distesa di roccia si stagliavano due bronzi da cui tutt'oggi non riesce a staccarsi.
La loro magnificenza, la loro forza è nella duplice bellezza, natura e arte che si sommano, l'una all'altra, una fusione magica che inebria.
Forse, se avesse incontrato le statue di Dalì nella sala di un museo, l'effetto non sarebbe stato così dirompente.
Ora le può costantemente ammirare, e ricordare l'attimo in cui le si è fermato il respiro, prendendo in mano lo smartphone: l'una immagine di sfondo, l'altra blocca schermo.
Chissà se Dalì sarebbe contento di ritrovarsi dentro un’apparecchiatura elettronica come mera immagine digitale.
E’ probabile che un surrealista puro come lui farebbe ancora oggi incetta di nuovi orizzonti….quindi Stella, nel suo mondo "piccino picciò”, può sicuramente tirare un sospiro di sollievo.
Le due opere surrealiste, “Omaggio a Newton” dei primi anni Ottanta e “Rinoceronte cosmico” del 1956, esposte davanti ad un paesaggio altrettanto surreale, hanno trascinato Stella in un vortice di sensazioni molto simili a quelle scatenate dall’architettura di Gaudì nel momento in cui ha messo piede nella mansarda della Casa Milà (La Pedrera).
Sarà questo particolare genio catalano, che abbraccia due personalità tanto diverse, ma entrambe immerse e completamente dedite all'arte, che fa sobbalzare Stella in questi suoi anni di maturità.
Arrivata nel sottotetto della Pedrera Stella ha infatti avuto un tale sussulto da non riuscire a trattenere le lacrime per l'emozione.
Eppure era già stata lì, all'università aveva studiato l'architettura del maestro catalano ma, stavolta, in età “leggermente” più avanzata, è probabilmente riuscita ad abbracciare lo spirito maturo di Gaudì, a cogliere il culmine della sua produzione residenziale, incarnato proprio da Casa Milà.
Stella nei suoi precedenti viaggi a Barcellona, poco meno di trent'anni fa, non era invece riuscita a visitare l'altra residenza privata progettata da Gaudì, Casa Batllò. Allora, ancora giovane, si sarebbe esaltata soltanto alla vista dall’arcobaleno scintillante del trencadis, come aveva fatto di fronte ai colpi di frusta delle opere di Guimard a Parigi e di Horta a Bruxelles.
Come nelle altre due capitali dell’art nouveau/ modernismo/ jugendstil/ stile secessionista/ liberty, ogni Paese ama chiamarlo a modo suo, avrebbe amato alla follia la progettazione a 360 gradi, che dalla maniglia abbraccia l'intero edificio, avrebbe ammirato quanto la forma segue la funzione, mai indugiando in mero styling: nulla al caso, con ogni particolare parte del tutto, partecipe nella struttura come nelle soluzioni tecnologiche degli impianti.
Ovviamente anche oggi le hanno brillato gli occhi davanti ad una progettazione così completa, che segue un filo preciso e sempre calzante, mai fuori posto, organico e allo stesso tempo guizzante di monadi meravigliose. Ma ancor di più ha vibrato ammirando le costole strutturali degli archi in laterizio che le si sono presentate innanzi entrando nello spazio continuo della mansarda di casa Milà.
Meraviglia delle meraviglie!
Per arrivare a casa Batllò e casa Milà Stella ha percorso il Passeig de Gràcia nell'omonimo quartiere. Ricchezza e sfarzo a tutti i livelli, che nelle residenze private e negli hotel, si esprime attraverso il carattere edilizio di metà ottocento o modernista, mentre nei negozi, perlopiù di firme di alta moda, solo attraverso il lusso globalizzato in cui è quasi del tutto assente una qualche i connotazione catalana o spagnola.
Quindi molta differenza tra contenuto e contenitori. Se non si staccano gli occhi dalle vetrine si può pensare di passeggiare in una qualsiasi capitale europea, e solo se si alzano verso i piani alti si riconosce il viale che identifica la Barcellona rinnovata ed elegante di fine Ottocento.
I marciapiedi, larghi e spaziosi sono però un marchio distintivo del piano urbanistico di metà Ottocento. Abbattere le mura e creare viali è stata la principale occupazione di urbanisti europei del secondo cinquantennio del XIX secolo, come avvenne a Parigi con Haussmann o a Firenze con il piano Poggi. Nelle più importanti città europee fioriscono boulevard, viali, e qui a Barcellona carrer passeig e avingude.
Il dibattito accademico su queste operazioni di sventramento o di semplice espansione, o di entrambi, è ancora aperto ovunque e, probabilmente, mai si chiuderà.
Nel caso specifico, Barcellona nel 1850 si trova ancora nell’assetto di piazzaforte militare, chiusa all’interno delle mura con il divieto di edificazione per un raggio di 10 km attorno alla città: per questo all'epoca era la città europea con più alta densità abitativa con precarie condizioni igienico sanitarie e pessima funzionalità dell'apparato urbano.
Quindi, quando nel 1854 il governo centrale spagnolo acconsente alla demolizione delle mura, viene avviato un piano di espansione cittadino per collegare la città vecchia con i piccoli centri satelliti: nascono gli isolati ottagonali, manzanas, che caratterizzano il distretto dell’Eixample, di cui fa parte anche Gràcia che, grazie alle smussature, creano ad ogni incrocio un largo quadrivio e, nel migliore dei casi, una vera e propria piazza.
Ildefons Cerdà, ingegnere urbanista di Barcellona, aveva pensato a questo modello quadrato di 113,3 m ad angoli smussati con all'interno un grande spazio comune occupato da giardini, terrazze, patii pubblici o privati, ovvero isole impermeabili all'esterno ( “illes” in catalano), l'esatto contrario degli cortili berlinesi (“höfe” in tedesco) nati a fine Settecento, in piena prima rivoluzione industriale, in zone popolari abitate dalla classe operaia, che si possono attraversare e che spesso costituiscono, uno di seguito all'altro, un reticolo molto articolato. Negli ultimi decenni molti sono stati recuperati e risultano perlopiù gentrificati attraverso attività culturali e artistiche, sofisticati atelier, importanti studi professionali ed eleganti caffè.
Ciò che invece connota l’Eixample è quello che si crea intorno alle isole: nastri di marciapiedi larghi, molto larghi, piste ciclabili, zone pedonali, piazze e quindi spazio, tanto spazio. Spazio per pedoni, ciclisti, ma anche larghe arterie per fiumi di auto.
Tutto più che denso perché la densità a Barcellona è ancora altissima e all’abbondante milione e mezzo di abitanti, residenti in un territorio non vasto, si somma il costante plotone di turisti: è lo scotto da pagare per un'area molto produttiva che, grazie al boom manifatturiero in era di seconda rivoluzione industriale, si è arricchita di un pregiatissimo tessuto edilizio.
Barcellona rimane sempre un potente catalizzatore di un gran numero di persone in cerca di lavoro e vera e propria calamita per viaggiatori di ogni età. Nel piano di Cerdà erano calcolati 300.000 residenti (185.000 nella città vecchia + 120.000 del nuovo piano di espansione), che attualmente sono più che quintuplicati.
E si vedono!!!
E si sentono!!!
Scendendo dalla metro a Plaça de Catalunya Stella si incammina per il Passeig de Gràcia e comincia a fare deviazioni nelle strade a destra e a sinistra: si imbatte subito in Casa Calvet progettata e costruita da Gaudì negli ultimi due anni del XIX secolo. Non ha avuto modo di entrare. Un marcantonio all'entrata vanifica ogni suo tentativo di varcare la soglia per ammirare almeno la hall. Riesce soltanto a bearsi delle meravigliose maioliche quadrate con un motivo a spirale nelle tonalità del blu. Tutte intere non frantumate e ricomposte.
Casa Calvet è stata costruita tra il 1898 ed il 1900 quindi precede le realizzazioni in cui compare una delle invenzioni che caratterizza maggiormente l'architettura di Gaudì, il trencadìs, ovvero la tecnica di riuso degli scarti delle ceramiche smaltate per creare intarsi cromatici meravigliosi. L'apparecchiatura muraria della facciate è abbastanza classica, in pietra a leggero bugnato a corsi irregolari ma omogeneo, con molti dettagli che richiamano il barocco catalano arricchito da balconcini in ferro battuto.
E’ il suo primo edificio destinato ad abitazioni private e gli fu commissionato dalla nascente nuova borghesia, frutto della rivoluzione industriale, a cui era destinato il quartiere appena progettato. Infatti il signor Calvet era proprietario di un'impresa tessile e, secondo la tipica distribuzione degli edifici dello stesso periodo, il piano terra ed il seminterrato erano destinati all'attività commerciale, mentre il piano principale alla residenza dei proprietari; i tre piani restanti ad abitazioni in affitto. Da una targa in facciata Stella si accorge che attualmente i locali commerciali di casa Calvet sono occupati dal China Crown Restaurant e, dai tendaggi alle finestre, che gli altri piani sono rimaste residenze private, quindi nulla è cambiato nella destinazione dell'edificio.
In un'altra targa invece legge che nel 1900 l'edificio ottenne il premio che, per la prima volta, il Comune di Barcellona concedeva al miglior edificio.
Stella nota che l'altezza degli edifici è costante: cinque piani fuori terra. Ma scorge poi delle sopraelevazioni arretrate rispetto alla facciata.
Infatti il piano ad isole di Cerdà prevedeva un'altezza massima in modo che le strade non fossero schiacciate dal costruito. Per questo motivo quello che avvenne in seguito, ovvero le successive edificazioni, realizzate a gradoni sopra le terrazze, non influirono sulla percezione spaziale e sull'illuminazione dei percorsi a terra.
Nonostante la larghezza dei marciapiedi e la meraviglia che gli provoca la bellezza della sfilata di palazzi che costituiscono le “illes” dell’Eixample, Stella è frastornata dalla massa di persone che si muovono attorno a lei. Anche lei fa parte di questo delirio e quasi se ne vergogna.
Per fortuna resiste e continua il suo cammino zigzagando fino a ritrovarsi a Vila de Gràcia, ben oltre la fine del Passeig omonimo.
Stella, varcata l’Avinguda Diagonal, esce dalla maglia dell’ Eixample: nota le preesistenze caratteristiche di un piccolo borgo come gli interventi edilizi dell'ultimo cinquantennio, entrambi con caratteristiche modeste e di nessun particolare rilievo.
Poi, in fondo ad una strada tutt'altro che affascinante, tanto che ne ricorda solo i grovigli di cavi attaccati alle facciate, scorge tante forme e sovrabbondanza di colore e, ovviamente, in un attimo, ripiomba nella folla.
Il suo vagare del tutto a caso l'ha infatti portata davanti a Casa Vicens, la prima opera importante di Gaudì, realizzata tra il 1883 ed 1888. Purtroppo non ha il biglietto per entrare perché le visite sono sold out, quindi si deve accontentare di ammirare la facciata lungo la strada e sbirciare il giardino attraverso la recinzione esterna.
Nota uno stile molto diverso da quello che anni dopo Gaudì sperimenta in Casa Calvet.
Non pietra in facciata, ma ben evidenti sono le cifre caratteristiche del mudejar, ovvero elementi di ispirazione arabeggiante, come il forte accostamento del mattone alla ceramica (azulejo).
La casa gli era stata commissionata dal signor Vicens, pensate un pò…produttore di azulejos.
E’ un edificio isolato, residenza di villeggiatura a quattro livelli, cantina e tre piani fuori terra, con un ampio giardino.
Il rivestimento ceramico colorato delle facciate rappresenta la flora del posto, così come il motivo della ringhiera di recinzione in ferro battuto è la riproduzione di una foglia di palma.