freccia su

Gibellina

Una farfalla che ancora non riesce a volare

Non sono nata in Sicilia, ma ho avuto un brivido quando, all’età di sei anni, ho attraversato per la prima volta lo stretto a bordo di un traghetto delle Ferrovie dello Stato.

Non so ora, ma nel 1972 si andava a fare la fila per accaparrarsi arancini appena il bar a bordo apriva. Un altro ricordo indelebile. Buonissimi.

Mio padre quell’anno fece il grande passo e ci aprì le porte della terra dei suoi genitori.

Fino ad allora per me e mio fratello la Sicilia era solo mia nonna Stella barricata nella sua bellissima, ma spettrale casa reliquiario di Roma. Lì sentivamo parlare un accento diverso e sempre lì mangiavamo cose al di fuori della tradizione materna romano-romagnola. Dolci dolcissimi e pesanti come macigni per bambini quali eravamo, e poi timballi e verdure agrodolci che allora detestavo ma di cui oggi, purtroppo solo a memoria, provo a contaminare la mia cucina.

La mia è una Sicilia di terza generazione. Non più quella di cui mio padre probabilmente portava un fardello troppo pesante. Una Sicilia di forti contraddizioni, ma ricca di altrettanto meravigliosa fascinazione.

Ci sono tornata tante volte da quel lontano 1972. L’ultima nel settembre 2017, approfittando dei voli che Ryanair aveva aperto su Trapani. Giorni bellissimi e intensi, proprio là dove erano nati e vissuti i miei nonni e dove mio padre tornava in estate per riunirsi a zii e cugini. E proprio lungo i filari dei vigneti di famiglia, da giovane studente romano, rimasto orfano di padre, capì come sarebbe stato difficile amministrare le terre ereditate dai nonni.

Tre estati fa ho volute ripercorrere quelle campagne, visitare i luoghi da cui mio padre aveva voluto allontanarsi.

Tanto tempo era passato da quando, bambina, ero stata nella Valle del Belice, troppo piccola per capire.

Nel frattempo sono cresciuta, ho studiato architettura, ho mosso tanti passi nel mondo del lavoro ma, soprattutto, ho acquisito occhi, testa e cuore per dedicare alla terra da cui nasce la parte più sanguigna e contraddittoria di me, una riflessione del tutto personale, in cui la parola si intreccia indissolubilmente al disegno.


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