gli anni da dimenticare
gli anni da dimenticare
Stella ha frequentato l'università nel bel mezzo degli anni Ottanta ed anche i suoi interrail “architettonici” sono stati perlopiù all'insegna di un post-modern dilagante: da Parigi ad Amburgo, da Berlino a Stoccarda di esempi evidenti, timpani, simil rosoni, colori pastello, ne ha collezionati a iosa.
E gironzolando per Berlino si ritrova spesso, suo malgrado, davanti agli stessi interventi cercati e analizzati nei suoi viaggi giovanili ma anche ad altrettanti che, al tempo, aveva ignorato perché sconosciuti. Del resto partiva sempre con elenchi di architetture studiate nei suoi corsi accademici con lo scopo di poterle “toccare con mano”. E ovviamente si trattava di opere degli architetti più noti, che ancora, per fortuna, non venivano chiamati archistar.
Ma ne scorge altre che riprendono gli stilemi di architetture di venti anni prima con la stessa firma, o quasi. Del resto il pezzo forte del gruppo era passato a miglior vita...
Le sue architetture preferite non rientrano negli interventi a Berlino Ovest, che dalla fine degli anni Settanta arrivano alla fine del Millennio, ma neanche in molti della ricostruzione ad Est dopo la caduta del muro.
I due templi degli anni sessanta, l'uno dell'arte e l'altro della musica, rispettivamente Neue Nationalgalerie e Philarmonie (https://sites.google.com/view/berlino-secondo-stella/occhio-alla-mappa/cosa-c%C3%A8-nella-ragnatela/i-due-templi?authuser=0), sono di gran lunga in cima alla sua lista.
Tante le cose cadute nel dimenticatoio, tutto ciò che di quegli anni non è piaciuto a Stella: film, musica, personaggi politici.
Anni tra i meno felici della sua vita.
Stella non scorderà mai uno degli ultimi corsi universitari frequentati. Le aveva dato non si sa quanto filo da torcere ma, allo stesso tempo, riflettendoci, è stato probabilmente quello che ha segnato di più il suo futuro professionale e personale.
Un vero tsunami.
Andare a revisione per lei era un tormento: le si stringeva lo stomaco tanto da provare una nausea incontrollabile solo a mettere una matita sul foglio bianco. Tutto ciò che le veniva in mente le sembrava inadeguato, non adatto al tema proposto dal professore.
Poi, dopo tanta agonia, era arrivata la sua personale corona d'alloro.
Ma ancora oggi, quando si trova davanti ad un'architettura, un oggetto di design, una qualsivoglia opera d’arte che non le piace, si ritrova irrimediabilmente nella stessa condizione di allora.
Così è stato davanti alle opere di Hinrich Baller, in cui si è imbattuta in diversi Bezirke di Berlino.
Architetture che, guarda caso, le ricordano proprio quei suoi tormenti giovanili, le battaglie con un ancora giovane designer israeliano che sembrava pretendere da lei l'impossibile.
Le linee create per le ringhiere dei balconi del palazzo residenziale di Schöneberg, che affacciano su Winterfeldplatz, e della Spreewald Grundschule, che svetta in una strada poco distante, le portano alla mente i guizzi dei cristalli realizzati da colui che continua a considerare mentore, e dal designer ceco Borek Sipek, suo coetaneo e, spesso, collaboratore.
Ogni tanto si ritrova a sfogliare vecchie riviste del settore in cui può ammirare le foto di bicchieri, vasi in cui il vetro soffiato è ancora plastico e sembra animato dalla passione di chi ne ha concepite le forme: fili colorati che abbracciano la trasparenza e poi si fermano in grovigli dalle forme più svariate.
A Stella tutto questo procura ancora piacere, ma non certo le sperimentazioni che nei medesimi anni furono fatte in architettura. Per lei quello che si era ottenuto a cavallo di Ottocento e Novecento, attraverso gli stilemi di uno stile "giovane" e “libero”, usando materiali non camuffati che mostrano la loro pecurialità, non si è poi riuscito a raggiungere dagli architetti che hanno rigettato il modernismo, confutato la serialità, la funzionalità con cui sono stati invece usati i materiali da architetti del calibro di Mies Van der Rohe.
E proprio quell'industria e quella tecnologia, che in età contemporanea non può essere certo ignorata, ma soltanto abbracciata, per meri e sacrosanti motivi di costi del lavoro -ma questa è un'altra storia-, li ha sviati dall'agognata libertà formale e li ha fatti cadere in creazioni effimere che snaturano l'anima dei materiali, un tempo scolpiti e lavorati da sapienti mani artigiane, oscurandoli con anonime carterizzazioni destinate a vite piuttosto brevi.
Per Stella, Hinrich Baller, che vede fiorire le sue architetture proprio sul finire del trascorso millennio, è ancora pienamente in quest'onda.
A Berlino le sua impronta è riconoscibile in molti Bezirke.
E proprio la spregiudicatezza nell'uso delle ringhiere metalliche gli ha procurato non pochi problemi nella scuola di Schöneberg, attirando l'attenzione del Comune del Bezirke di competenza che ha dichiarato le scale non idonee e non sicure.
Come non dargli torto.
Il suo marchio di fabbrica si può scoprire anche nel Rosenhöfe, uno dei cortili degli Hackeschen Höfe, posto frequentatissimo sia da berlinesi che da orde di turisti.
La scala interna è davvero molto bella e di grande effetto, ma purtroppo non fa parte del suo repertorio.
I preziosi ricami metallici sono molto più convincenti delle balaustre verde menta che connotano il suo intervento di ristrutturazione rivolto esclusivamente al porticato: il colore sembra simulare l'ossidazione, ma non propriamente quella dell'acciaio.
Costituisce forse l'anticamera ad una delle passioni materiche del nuovo millennio?
A Stella è subito venuto in mente l'uso strabordante del corten, acciaio con patina ossidata che impedisce il progressivo estendersi della corrosione. A lei inizialmente piaceva, ma poi ne ha fatto tale indigestione - corten nell'uso privato, corten nelle opere pubbliche, corten negli oggetti di design- che lo sceglierebbe malvolentieri anche per una fioriera casalinga.
Nelle architetture di Baller è invece il tondino di acciaio color verderame a stancarla. Seppur leggero e aggraziato, è ostentato quasi ossessivamente in una serie ripetuta di pose plastiche che richiamano elementi del mondo naturale.
E Stella ama il verde, e molto, ma quello dei meravigliosi viali di Berlino, degli alberi presenti in quasi tutte le strade, negli innumerevoli parchi che spezzano benevolmente i flussi delle auto.
Perché non usarlo nella sua vera essenza?