il bianco e il nero
il bianco e il nero
In una giornata di inizio ottobre, dal cielo mutevole come solo può essere quello berlinese, Stella ed Heinrich si armano di cerata ed ombrello e attraversano a piedi l’Ortsteil di Wilmersdorf fino a raggiungere la Kirche am Hohenzollernplatz, chiesa protestante, il cui progetto era uscito, pressoché un secolo fa, dallo stesso studio di architettura della Chilehaus di Amburgo.
A metà agosto erano rimasti talmente impressionati “dalla nave” che campeggia nella città anseatica, che non vogliono perdersi un'altra architettura espressionista dello studio di Fritz Höger costruita fuori Amburgo.
Nonostante la profonda volta ad ogiva d’entrata, impreziosita da ricorsi musivi dorati nell’apparecchiatura muraria di clinker e dal mosaico geometrico intorno al portone, preannunci il principio strutturale della costruzione, Stella ed Heinrich rimangono molto colpiti dal magistrale effetto prospettico e dall’eleganza strutturale della navata principale, che è un perfetto susseguirsi di nervature ogivali.
Lo slancio delle tredici travature di cemento armato, elegantemente rifinite da una candida texture a rilievo, è amplificato dalle vetrate che illuminano di sfumature cangianti la sala.
Il coro ha invece un rivestimento in mattoni di clinker smaltato, in cui l’azzurro risalta su fondo ramato.
All’interno, lungo le due navate piccole laterali, è allestita una mostra su Ossip Klarwein, un architetto tedesco di origine polacca che aveva lavorato dal 1926, fino alla partenza per Israele nel 1933, nello studio di Fritz Höger. Perché proprio lui?
Stella ed Heinrich scoprono quello che, da che mondo è mondo, è sempre accaduto e tutt'oggi ancora accade negli studi, anticamente botteghe, di artisti e architetti: le opere escono a nome di chi ha la targa sulla porta, ma non sempre è una questione prettamente negativa, soprattutto in campo architettonico e senza dubbio nei tempi attuali. Non tutti hanno infatti la capacità di assumersi la responsabilità di un progetto. L’opera di genio, quando si tratta di interventi di rivoluzione dello spazio, di strutture, di costruito, porta con sé tanto altro: applicazione di norme, contrattazioni, insomma un enorme fardello molto difficile da sopportare.
Allo stato attuale la regolamentazione e la suddivisione dei ruoli è molto più netta che in passato, quindi assolutamente non comparabile a quanto avveniva un secolo fa.
Quindi per Stella, scavare nella vita di Höger e di Klarwein, quasi per dimostrare un plagio e, secondo la teoria del bianco e il nero, scoprire chi è il buono e chi il cattivo, è un’operazione del tutto inutile.
Quello che si sa è che Höger si era messo sul binario del partito neonazista: per ideologia o per opportunismo, non possiamo affermarlo con nessuna sicurezza.
Si sa anche che Klarwein era ebreo.
I giochi sembrerebbero perciò fatti, ma non credo sia il caso di semplificare.
Altro dato certo è che l’iter progettuale era iniziato nel 1928, quando Höger aveva ottenuto l’incarico presentando un progetto di Klarwein, che era il suo più brillante dipendente, e che la costruzione era durata dal 1930 al 1933, anno in cui Klarwein partì con la sua famiglia per la Palestina per sottrarsi al dilagare della deriva razziale nazista.
Il processo progettuale, come è consuetudine, è quindi partito da un’idea e proseguito con successive modifiche, come ad esempio per la volta slanciata proposta da Klarwein che Höger ha spostato verso una più classica e impattante ogiva gotica.
La differenza è nella matrice espressionista, dettata dallo stesso Höger, evidente nell’uso del clinker, il mattone scuro, resistente al gelo, ottenuto da una cottura ad altissima temperatura, usato da lui magistralmente nella Chilehaus di Amburgo e nel contributo nella terza fase di costruzione della Brahms Kontor di Amburgo, che porta il suo chiaro timbro.
Perciò, come in ogni studio di architettura che si rispetti, un progetto esce spesso a nome del titolare, ma vestito della moltitudine di idee dei collaboratori più o meno virtuosi.
In questo specifico caso Höger, a suo stesso dire, aveva stretto con Klarwein una collaborazione molto stimolante e fruttuosa.
Comunque sia davvero andata, l’idea iniziale di Klarwein si fonde magistralmente con la decisa svolta espressionista di Höger declinata con forme forti come il campanile laterale talmente slanciato da essere diventato un punto di riferimento nella Hohenzollerndamm e, soprattutto, con l’uso totalizzante del clinker, in cui spicca la tessitura verticale di pieni e vuoti che caratterizza la facciata laterale e le due strutture semicilindriche ai lati dell’ingresso, che racchiudono le scale circolari.
Purtroppo la bellezza di cui hanno potuto godere Stella ed Heinrich non è la stessa in cui si trovarono immersi i fedeli all’inaugurazione della Chiesa e negli anni successivi fino al novembre del 1943 quando la chiesa venne distrutta da un incendio in seguito ai bombardamenti alleati su Berlino.
Quello che appare ora è il risultato di una lenta ricostruzione ultimata nel 1965.
Le vetrate originali, che erano state realizzate dalla manifattura berlinese Puhl&Wagner, sono andate perdute e sostituite con altre, non come altre decorazioni invece mai ripristinate.
La fonte battesimale, progettata dallo stesso Höger, è fatalmente sopravvissuta alle fiamme.
Dopo la caduta del muro, a cavallo tra il 1990 ed il 1991, l’architetto Gerhard Schlotter, ha seguito un’ulteriore ristrutturazione che, ripristinando i colori originali della navata principale, ha reso lo spazio fruibile per esposizioni di arte contemporanea.
E qui Stella, che non ha mai amato certa opulenza, così come l’oscurità di taluni luoghi di preghiera, ha trovato accoglienza nella luce, nella purezza di una evidente operazione di sottrazione che, per lei, costituiscono la base dell’architettura…e non solo.